Approfondimenti
1) Le prospettate accettazioni di eredità sarebbero successive alla scadenza del termine prescrizionale, previsto dall’art. 480 C.C.: un termine SOSTANZIALE e non processuale (così Cass., sez. II, sentenza 264/2013). Le accettazioni di cui trattasi riguardarebbero quindi un diritto non più esistente (v. sul punto Cass., sez. II, sentenza 1403/2007, per la quale lo scadere del termine in questione comporta la “perdita della delazione” ereditaria); e perciò avrebbero un oggetto impossibile. Per cui sarebbero nulle (artt. 1346 e 1418 C.C., applicabili anche agli atti unilaterali, quali quello in esame, ai sensi dell’art. 1324). Una nullità che, in quanto sostanziale, comunque sussiste indipendentemente dai tecnicismi meramente processuali che regolerebbero le modalità da seguire per il suo accertamento in giudizio.
D’altra parte, l’accettazione dell’eredità costituisce esercizio di un diritto potestativo, sulla cui prescrizione non operano gli atti interruttivi (così, Cass., sez. II, sentenze 21687/2014, 8776/2013, e 4695/2017); tranne quelli tipicamente previsti dallo stesso art. 480. Inoltre, il decorso del termine in parola opererebbe anche in danno dei chiamati in subordine (cfr. Cass., sez. II, sentenze 16426/2012 e 5152/2012), anche se minorenni (così Cass., sez. I, sentenza 2211/2007); e in danno di coloro che che siano favoriti da un testamento scoperto dopo la scadenza del termine medesimo (così Cass., sez. II, 4695/2017 e 264/2013).
È perciò praticamente azzerata, nella specie, la possibilità di eventi interruttivi o sospensivi della prescrizione o di eventi che ne proroghino l’inizio nel tempo; salvo quanto stabilito dall’art. 480 C.C. per i marginali casi della chiamata condizionale, dell’accertamento giudiziale di filiazione e della caducazione di un’accettazione da parte di chiamati sovraordinati. Conseguentemente, la rilevata prescrizione, e la nullità da essa dipendente, in pratica costituirebbero una situazione automaticamente evidenziata dall’accettazione resa a più di dieci anni dall’apertura della successione: là dove l’accettante non sia un chiamato in subordine, un chiamato sotto condizione avveratasi in suo favore successivamente alla morte, o un figlio successivamente accertato tale.
Non si conoscono precedenti giurisprudenziali di legittimità sulla nullità di cui trattasi in esatti termini. Va però segnalato che in diverse sentenze della Suprema Corte si afferma che l’adizione ereditaria può perfezionarsi con un’accettazione espressa o tacita CHE SIA RESA NEL TERMINE DI CUI ALL’ART. 480 C.C.: v., per es., da ultimo, sez. lavoro, 21436/2018; sez. VI-5, 19030/2018.
E v. anche sez. V, 8053/2017, nella cui motivazione si legge “... la dichiarazione di rinuncia è stata proposta in data 18.4.2005, decorso il termine di dieci anni per accettare l’eredità (art. 480 c.c.), dovendosi ritenere in concreto del tutto inutile, in quanto riguardava un’eredità rispetto alla quale il diritto ad accettare si era ormai prescritto. Invero, la giustificazione causale dell’atto di rinunzia tardiva si è espressa nell’interesse della rinunziante a stabilizzare e chiarire la sua condizione e volontà di “non essere erede”.”. Dal che per l’appunto si deduce che, così come è “inutile” la rinunzia all’eredità fatta dopo la scadenza del termine prescrizionale, similmente è “impossibile” l’accettazione fatta dopo la scadenza medesima.
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2) Sarebbe dunque senz’altro insuperabile la falla che si aprirebbe nella continuità dei titoli di acquisto, se si trascrivesse un’accettazione nulla perché fatta dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 480 del codice civile.
In questo caso, infatti, non solo la relativa pubblicità immobiliare sarebbe del tutto priva di effetti (perché dipendente, per l’appunto, da un titolo nullo); ma costituirebbe anche una confessione piena, nel senso che il preteso accettante in realtà non è erede: attesa, per l’appunto, la nullità della sua accettazione emergente “per tabulas” dall’avvenuta e automatica scadenza del termine decennale prevista dal richiamato art. 480, maturatasi prima dell’adizione ereditaria. Confessione che, come tale, può essere anche contestuale a un atto nullo.
Qualunque interessato potrebbe far valere questa circostanza, compresi terzi estranei all’eredità (così Cass., sez. II, ord. 9980/2018); e l’esposta natura confessoria dell’accettazione tardiva precluderebbe la possibilità, per il chiamato che non abbia compiuto atti espressi o taciti di accettazione nel termine di legge, di affermarsi erede in seguito al pregresso perfezionamento della fattispecie prevista dall’art. 485, II comma, del codice civile.
Fattispecie tutt’altro che improbabile: perché per integrare il possesso necessario a perfezionare l’ipotesi prevista dalla norma ultima richiamata è sufficiente il godimento di beni pertinenti all’eredità anche molto banali e/o di basso valore. Per es.: per Cass., II, 14-5-94, 4707, la disponibilità di un letto e di alcuni effetti personali; per Cass., 24-23-84, 1317, la disponibilità di beni ereditarî anche solo per un giorno.
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3) In proposito, si rilevi che l’adizione ereditaria è possibile solo mediante un’accettazione espressa o tacita; oppure per il decorso del termine trimestrale previsto dall’art. 485, II comma, C.C. in relazione al chiamato possessore di beni ereditarî (v. per es., sul fatto che siano tipiche e esclusive le tre delineate fattispecie di accettazione, Cass., sez. lav., 21436/2018; sez. VI, ord. 19030/2018; sez. V, ord. 13639/2018 e sentenza 8053/2017. Fattispecie alle quali potrebbe eventualmente aggiungersi solo quella prevista dall’art. 527 C.C.).
In particolare, la prova dell’avvenuta adizione ex art. 485 C.C. sarebbe tutt’altro che insormontabile, come appena esposto al precedente punto 2); e la sua impercorribilità sarebbe servita su un piatto d’argento a tutti coloro che fossero interessati a contestare l’adizione, nel caso fosse trascritta un’accettazione tacita oltre il termine decennale stabilito dall’art. 480 del codice civile.
Su questo punto, si ricordi che l’accettazione di un’eredità è possibile per una volta soltanto: perché l’acquisto della qualifica di erede è definitivo, unico e irrevocabile (secondo il consolidatissimo e pacifico principio espresso dal brocardo “semel heres, semper heres”: sul quale, per es., v. da ultimo Cass., sez. II, ord. 29665/2018. E cfr. anche Cass., sez. II, numero 6275 del 10-3-2017: per la quale è inefficace la rinunzia all’eredità fatta dopo l’accettazione che, nella specie, si era proprio implicitamente perfezionata in seguito alla scadenza del termine trimestrale previsto dall’art. 485 C.C..).
Si ribadisce quindi che la formalizzazione di un’accettazione comporta l’affermazione che non esistano accettazioni anteriori. E conseguentemente la perdita della possibilità di dedurre un’eventuale accettazione implicita perfezionatasi nel termine di legge ai sensi dell’art. 485, II comma, C.C..
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4) Non vale obiettare, a confutazione di quanto finora esposto, che l’impossibilità di formalizzare accettazioni tardive impedirebbe la continuità delle trascrizioni ventennali, con riguardo agli acquisti ereditarî avvenuti prima di dieci anni da un’eventuale alienazione immobiliare che dovesse essere conclusa dagli eredi. E che, conseguentemente, non sarebbe possibile un’adeguata tutela per i terzi, aventi causa in quella stessa alienazione.
L’obiezione non coglie nel segno, non solo perché “adducere inconvenientes non fit interpretatio”; ma sopra tutto perché il sistema della legge non impernia la tutela degli aventi causa in questione solo sui meccanismi della pubblicità immobiliare; ma anche sulle disposizioni fatte dall’art. 534 C.C..
D’altronde, non esiste nessuna norma generale che preveda la pubblicità di TUTTI i trasferimenti immobiliari: valendo invece il principio di tipicità previsto dagli artt. 2643/2649 C.C.. Esiste, insomma, la possibilità di trasferimenti immobiliari atipici, non soggetti a trascrizione: come si evince dall’art. 2651 C.C..
Come è noto, l’indicata tutela predisposta dall’art. 534 C.C. sussiste, solo se:
a) il terzo avente causa dall’erede apparente dimostri di avere proceduto nell’acquisto in buona fede (v. su questo punto, da ultimo, Cass., sez. II, 4-2-2010, n. 2653);
b) l’asserito erede dante causa abbia trascritto la propria accettazione ereditaria.
ad a) Solitamente, i fatti costitutivi della buona fede in capo all’avente causa sono non tanto un eventuale e obsoleto atto di notorietà; quanto, piuttosto, l’esistenza di una denunzia di successione univoca e trascritta (e quindi, ovviamente, l’inesistenza di dichiarazioni confliggenti tra loro); e il possesso del bene in capo a chi appaia erede. Queste circostanze costituiscono elementi particolarmente forti nella dimostrazione della buona fede in capo agli aventi causa: anche in relazione all’estrema attendibilità, sopra tutto se gli eredi siano familiari conviventi, della situazione fattuale possessoria concretante accettazione implicita ai sensi dell’art. 485, II comma, del codice civile.
Viceversa, il terzo non potrebbe dimostrare la sua buona fede, se dalla pubblicità immobiliare risultasse “per tabulas” che sia stata nulla l’accettazione dell’eredità, perché avvenuta dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 480 C.C..
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4) Non vale obiettare, a confutazione di quanto finora esposto, che l’impossibilità di formalizzare accettazioni tardive impedirebbe la continuità delle trascrizioni ventennali, con riguardo agli acquisti ereditarî avvenuti prima di dieci anni da un’eventuale alienazione immobiliare che dovesse essere conclusa dagli eredi. E che, conseguentemente, non sarebbe possibile un’adeguata tutela per i terzi, aventi causa in quella stessa alienazione.
L’obiezione non coglie nel segno, non solo perché “adducere inconvenientes non fit interpretatio”; ma sopra tutto perché il sistema della legge non impernia la tutela degli aventi causa in questione solo sui meccanismi della pubblicità immobiliare; ma anche sulle disposizioni fatte dall’art. 534 C.C..
D’altronde, non esiste nessuna norma generale che preveda la pubblicità di TUTTI i trasferimenti immobiliari: valendo invece il principio di tipicità previsto dagli artt. 2643/2649 C.C.. Esiste, insomma, la possibilità di trasferimenti immobiliari atipici, non soggetti a trascrizione: come si evince dall’art. 2651 C.C..
Come è noto, l’indicata tutela predisposta dall’art. 534 C.C. sussiste, solo se:
a) il terzo avente causa dall’erede apparente dimostri di avere proceduto nell’acquisto in buona fede (v. su questo punto, da ultimo, Cass., sez. II, 4-2-2010, n. 2653);
b) l’asserito erede dante causa abbia trascritto la propria accettazione ereditaria.
ad a) Solitamente, i fatti costitutivi della buona fede in capo all’avente causa sono non tanto un eventuale e obsoleto atto di notorietà; quanto, piuttosto, l’esistenza di una denunzia di successione univoca e trascritta (e quindi, ovviamente, l’inesistenza di dichiarazioni confliggenti tra loro); e il possesso del bene in capo a chi appaia erede. Queste circostanze costituiscono elementi particolarmente forti nella dimostrazione della buona fede in capo agli aventi causa: anche in relazione all’estrema attendibilità, sopra tutto se gli eredi siano familiari conviventi, della situazione fattuale possessoria concretante accettazione implicita ai sensi dell’art. 485, II comma, del codice civile.
Viceversa, il terzo non potrebbe dimostrare la sua buona fede, se dalla pubblicità immobiliare risultasse “per tabulas” che sia stata nulla l’accettazione dell’eredità, perché avvenuta dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 480 C.C..
In proposito, si richiami la citata Cass. 2653/2010: nella cui motivazione, letteralmente, si legge che il terzo avente causa "ha l'onere di provare la sua buona fede, consistente nella dimostrazione dell’idoneità del comportamento dell’alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonché dell’esistenza di circostanze indicative dell’ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell’acquisto (Cass. 9/7/1980 n. 4376)".
È appena il caso di ricordare, ai fini dell’onere probatorio così delineato, che “ignorantia vel error legis non excusat”: per cui il terzo acquirente non può “incolpevolmente ignorare” che la “realtà della situazione ereditaria” sia costituita da una mancata adizione dell’alienante dovuta alla nullità dell’accettazione, evidenziata dalla sua tardività.
ad b) Quanto alla trascrizione dell’accettazione prevista dal terzo comma del ripetuto art. 534 C.C., si osservi che questa pubblicità immobiliare è imposta come onere sia a carico dell’erede apparente che a carico dell’erede vero.
Scaduto il termine di cui all’art. 480 C.C., l’onere in questione non potrebbe essere assolto dall’erede apparente, ma neppure da quello vero. Infatti, l’accettazione dell’eredità sarebbe nulla sia per l’uno che per l’altro: per cui l’acquisto dall’erede apparente non potrebbe comunque essere inopponibile all’erede vero, mancando una trascrizione dell’acquisto ereditario da parte di quest’ultimo.
Neppure gli eredi medesimi (vero e apparente) potrebbero procedere a un atto di accertamento, nel senso di avere acquistato l’eredità per possesso ultra - trimestrale dei beni ereditarî ex art. 485 del codice civile: perché l’avvenuta prescrizione li avrebbe privati della disponibilità sull’adizione ereditaria; e per giunta la confessione riguarderebbe un fatto favorevole al confitente. L’accertamento sarebbe quindi in contrasto con quanto disposto, rispettivamente, dagli artt. 2731 C.C. e 2730 C.C..
L’accertamento medesimo resterebbe quindi di stretta competenza giudiziaria: come esaustivamente esposto nella sentenza della Suprema Corte, sez. III, del 26 maggio 2014, n. 11638.
In ordine a questa decisione, va solo precisato che la Corte ha perequato le ipotesi di accettazione tacita non dipendente da atti pubblici o da scritture private autenticate all’ipotesi dell’accettazione implicita per possesso ultra - trimestrale dei beni ereditarî.
Questa perequazione, senz’altro condivisibile quanto alla comune necessità di una pronunzia giurisdizionale, non può però essere portata fino alla conseguenza di confondere un accertamento riguardante un atto (accettazione tacita, comunque trascrivibile ex art. 2648, III comma, C.C.) con un accertamento riguardante un fatto, non trascrivibile come tale (possesso ultra - trimestrale di beni ereditarî, ex art. 485 C.C.).
Un fatto possessorio, conseguentemente avvicinabile all’usucapione: per la quale non è prevista una pubblicità immobiliare rilevante sulla continuità delle trascrizioni, ma solo la pubblicità - notizia dipendente dalle sentenze di mero accertamento alle quali si riferisce l’art. 2651 C.C..
Segnatamente, il FATTO medesimo può ben essere dedotto in una sentenza di accertamento: ma tale decisione non potrebbe portare alla trascrizione di un simile evento e sarebbe eventualmente trascrivibile solo ex art. 2653, punto 1), del codice civile. Diversamente dal caso della sentenza che accerti l’avvenuta accettazione espressa o tacita di un’eredità: la quale sarebbe titolo per la trascrizione di quegli ATTI, ex art. 2648 C.C..
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5) A completamento di quanto finora esposto, si osservi che la verità della vita pratica è nel senso che la gran parte delle adizioni ereditarie avvenga proprio ai sensi dell’art. 485 del codice civile: perché nella stragrande maggioranza dei casi i chiamati si immettono nel possesso dei beni ereditari in via definitiva (quindi ben oltre tre mesi dalla successione) senza compiere atti formali di accettazione.
La realtà dei fatti è quindi nel senso che siano in gran parte nulle, perché contrarie al principio “semel heres, semper heres”, tutte le accettazioni di eredità, espresse o tacite, fatte dopo la scadenza di tre mesi dall’apertura della successione.
Questa osservazione, però, non può comportare l’affermazione che siano da accertare con sentenze tutte le adizioni ereditarie perfezionatesi ai sensi dell’art. 485 C.C.. Infatti, nel nostro sistema non esiste una ventilazione ereditaria di competenza giurisdizionale: non è quindi corretto pretendere l’intervento del Giudice per la stragrande maggioranza degli acquisti ereditarî, neppure nei casi in cui si invochi l’applicazione dell’art. 534 del codice civile.
In proposito, si richiama quanto già indicato al precedente punto 4), ad b): nel senso che sia intrascrivibile il FATTO dell’adizione ereditaria conseguente alla fattispecie prevista dall’art. 485 (così come l’adizione conseguente all’analoga fattispecie prevista dall’art. 527).
Questa intrascrivibilità, dovuta a stringenti motivi tecnico - giuridici e non all’inerzia degl’interessati, non può quindi rendere inapplicabile la tutela apprestata dall’art. 534: perché il riferimento fatto da questa norma non può che predicarsi ai casi in cui sarebbe configurabile la trascrizione di un acquisto ereditario. In altre parole: con la norma in questione, il legislatore non poteva fare riferimento a una fattispecie inesistente (trascrivendo atto di accettazione ereditaria perfezionatosi ex art. 485 C.C.); ma solo a fattispecie esistenti (trascrivendi atti di accettazione ereditaria espressa o tacita).
Ne consegue che, in caso di acquisto ereditario ex art. 485 C.C., la tutela di cui all’art. 534 C.C. si applica A PRESCINDERE da qualsiasi trascrizione a favore degli eredi, veri o apparenti.
Il principio di continuità delle trascrizioni verrebbe quindi pretermesso nei casi in esame: ma questo non deve meravigliare, perché il principio medesimo è inapplicabile per gli acquisti dipendenti da situazioni possessorie (cfr. l’art. 2651 C.C.). E l’acquisto ai sensi dell’art. 485 C.C. ha proprio titolo in una situazione possessoria, come tale idonea a ingenerare nel pubblico dei terzi l’affidamento che al possesso corrisponda un adeguato titolo.
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6) Riassuntivamente: il sistema della legge si “chiude”, in relazione alla tutela degli acquirenti da eredi eventualmente apparenti, con l’art. 534 C.C.; e questa “chiusura” potrebbe essere impedita proprio dall’accettazione tardiva dell’eredità, fatta dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 480 C.C.: per le ragioni già esposte ai precedenti punti 2), 3) e 4).
La formalizzazione di un’accettazione resa oltre il termine previsto dall’art. 480 C.C. costituisce insomma un danno secco per il (preteso) accettante e per i suoi aventi causa; oltre che un atto nullo quanto alla sua causa tipica (esercizio di un diritto potestativo all’accettazione).
E per regola applicabile a tutte le ipotesi di nullità, qualunque interessato sarebbe legittimato a sollevare l’invalidità in parola e quindi quella della conseguente trascrizione.
Diverso il caso in cui si formalizzi un’accettazione (tacita o espressa) entro il termine di cui all’art. 480 ma preceduta da un’adizione perfezionatasi ex art. 485 del codice civile: accettazione che sarebbe comunque nulla per contrasto col principio “semel heres, sempre heres”. In questo caso, però, la nullità sarebbe innocua: perché almeno non comporterebbe l’appena richiamato danno secco per il preteso accettante.
Inoltre, la nullità dell’accettazione in esame non risulterebbe “per tabulas”, come nel caso di quella conclusa dopo il decennio previsto dall’art. 480 C.C.. Si tratterebbe quindi di una nullità che tuttavia lascerebbe intatta la situazione di apparenza, prevista dall’art. 534 C.C. (II comma) e necessaria a tutelare i terzi aventi causa dall’erede apparente. Alla rilevata innocuità si aggiungerebbe quindi una residua utilità dell’accettazione in discorso, ai fini della richiamata tutela.
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7) Pur troppo diversi notai si attengono a prassi che non tengono conto delle situazioni appena delineate.
Questo forse non avviene soltanto per accedere alle ingiustificate insistenze di alcune banche, nel senso di procedere a accettazioni tacite oltre il termine di cui all’art. 480 C.C.; ma anche per ragioni forse più inconfessabili, generate dal fatto che l’accettazione tacita è un adempimento ricadente nell’opera professionale: opera che tuttavia non può essere intesa come un’incombenza che pretenderebbe di rimediare anche a supposte lacune normative (nella specie, in materia di continuità delle trascrizioni).
In una simile situazione, quali possono essere i messaggi che “passano” dalla categorìa professionale al pubblico degli utenti, come tale tendente a recepire semplificatoriamente le indicazioni che gli vengono date? Probabilmente, che l’acquisto ereditario non è mai sicuro: tanto da indurre i professionisti della materia (ossia i notaî) a immaginare, per male intese ragioni di opportunità pratica (esecuzione di pubblicità immobiliare a qualunque costo), un’accettazione contraria alla previsione fatta dall’art. 480 C.C.. Non sembra vero alla banche, in questo stato di presunta incertezza cervelloticamente gestito dalla categorìa, cercare altre fonti di sicurezza; e, in particolare, assicurazioni. Non sembra vero, perché molte banche hanno proprie assicuratrici ...
Con buona pace per il ruolo di garanzia che dovrebbero avere i notaî. E con buona pace per coloro che comprano finanziandosi con mutui bancarî: ai quali, per quanto ne sappia, almeno un banchiere ha già iniziato a imporre una propria (costosa) assicurazione contro il “rischio testamentario”.